
‘A vucchella, una canzone scritta ai tavolini di un Caffè
Articolo scritto da Michele Sergio e pubblicato su IL ROMA il 25 novembre 2018
Figura interessante, controversa e complessa quella di Gabriele D’Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938), sommo poeta, protagonista assoluto della vita politica e culturale dell’Italia tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. Personalità di altissimo intelletto e spessore culturale, massimo esponente del decadentismo italiano e convinto nazionalista, partecipò alla Grande Guerra nella neonata Regia Aeronautica (leggendario fu il bombardamento su Vienna con l’aeroplano Caproni). È da molti considerato il più grande letterato italiano del Novecento.
Visse a Napoli dal 1891 al 1893 collaborando con Il Mattino e Il Corriere di Napoli e, oltre all’attività di giornalista (collaborava con Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao), realizzò anche alcune delle sue opere più importanti: Giovanni Episcopo e L’innocente. Il “Vate” (soprannominato così perché considerato dai suoi contemporanei un poeta sacro, quasi un profeta) era un frequentatore assiduo del Gambrinus. Tutti gli avventori, anche grandi letterati come Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo volevano la sua amicizia; le dame gli chiedevano, invece, autografi e racconti sulle sue storie d’amore.
La tradizione vuole che nel 1892, tra un caffè e un sorbetto al Gambrinus, il Vate fosse sfidato dall’amico poeta Ferdinando Russo a scrivere una canzone in napoletano. D’Annunzio, figurarsi se si tirava dietro, scrisse di getto il testo, a matita e sul marmo di un tavolino del Caffè (tavolino conservato poi dal cameriere Ciccillo) nonostante le sue origini non certamente partenopee, prendendo ispirazione da una bella ragazza che sorseggiava un caffè ai tavolini del Gambrinus.
Sì comm’a nu sciorillo
tu tiene na vucchella
nu poco pocorillo
appassuliatella:
Meh, dammillo, dammillo,
”“ è comm’a na rusella ”“
dammillo nu vasillo,
dammillo, Cannetella!
Dammillo e pigliatillo,
nu vaso piccerillo
comm’a chesta vucchella,
che pare na rusella
nu poco pocorillo
appassuliatella…
Sì, tu tiene na vucchella
nu poco pocorillo
appassuliatella…
Nacque così, per scommessa, la celebre ‘A vucchella, poi musicata da Francesco Paolo Tosti che, dopo la pubblicazione di Giulio Ricordi nel 1907, trovò successo internazionale grazie all’interpretazione di Enrico Caruso. Da allora consacrata quale classico napoletano, Roberto Murolo, Sergio Bruni, Luciano Pavarotti e, da ultimo, Andrea Bocelli, non hanno mancato di cimentarsi in questo autentico capolavoro.
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