
Caffè Italiano contro Caffè Americano
Articolo scritto da Michele Sergio e pubblicato su il Roma il giorno 01 marzo 2020
Il caffè è cultura, il caffè è abitudine. Paese che vai, caffè che trovi. A differenza di quello che pensano molti italiani – e cioè che il caffè è l’espresso mentre tutti gli altri (modi di prepararlo) non sono buoni, anzi, sono “beveroni” imbevibili – esistono tantissimi modi di preparare il nero infuso, ciascuno con la propria storia, regole precise e fedeli ammiratori. Oggi, però, si registra una crescente curiosità da parte degli italiani verso i caffè stranieri ed in particolare verso quello statunitense che, probabilmente, è quello che maggiormente si differenzia da quello nostrano. Nell’immaginario collettivo quando si pensa al caffè americano si pensa a quello, visto in tanti film, contenuto nel bicchiere di carta in mano alle centinaia di pedoni che affollano le strade newyorkesi oppure quello che la cameriera versa da una sorta di brocca ai clienti dei locali. In realtà negli States si beve il caffè filtro o infuso di caffè preparato con una tecnica consistente nel versare acqua calda sulla polvere di caffè contenuta in un filtro (di solito di carta) riposto in un dripper o gocciolatore per farla percolare all’interno di un raccoglitore o di una brocca (bowl).
Ma come si prepara? Quanto alle macchine, la più popolare e diffusa nelle abitazioni e negli uffici è la macchina per caffè filtro anche se va detto che negli ultimi anni sono state rivalutate anche il manuale V60 e il Chemex. Tale ultima ampolla di vetro, a forma di clessidra, separata al centro da un pezzo di legno che forma il manico (questa forma dà la possibilità di fare ossigenare il caffè cper valorizzarne gli aromi), fu inventata nel 1941 da Peter Schlumbohm ed ha avuto così tanto successo che è addirittura esposta al Moma di NYC perché è stata considerata una dei migliori prodotti progettati del ‘900.
Per la preparazione, macinato il caffè (la proporzione è di circa 60 gr per litro d’acqua), lo si versa all’interno di uno spesso filtro di carta o bambù, precedentemente bagnato, con acqua tra i 93 e 96 gradi centigradi, con un bollitore a becco di cigno la cui forma evita il formarsi di canalizzazioni ed elimina il sapore di cellulosa. Si versa, poi, l’acqua sul macinato e quando sarà percolata tutta l’acqua si elimina il filtro (contenente la polvere di caffè esausta) e possiamo gustare il nostro caffè
La differenza principale tra il nostro caffè e quello americano è nei chicchi: dove per l’espresso si utilizza una miscela con specie arabica e robusta con tostatura scura e macinatura fine, per il caffè americano viene utilizzata una arabica, a tostatura chiara e chiaro/media e macinatura più grossa. Il risultato, ovviamente, è che l’espresso è più corposo e cremoso mentre l’americano è un vero e proprio infuso.
Qual è più buono viene da chiedersi? Impossibile rispondere con certezza del resto de gustibus non disputandum est. Va però detto che gli americani si sono avvicinati al caffè negli ultimi anni prendendo come modello proprio lo stile italiano. Tante sono, oramai, le catene di caffetterie a stelle e strisce che si sono ispirate proprio ad un concept di caffetteria italiana per poi acquisire una propria autonomia e personalità. Insomma se per anni abbiamo creduto di essere intoccabili in fatto di caffè, oggigiorno non siamo più soli e dobbiamo fare i conti con i concorrenti d’oltreoceano.
La globalizzazione ed il progressivo ridursi delle distanze suggeriscono, vieppiù, di non arroccarsi invocando la nostra storia ma, più realisticamente, di aprirsi alle nuove tendenze ed ai nuovi gusti nel rispetto, sempre e ovviamente, delle nostre secolari tradizioni difendendole anche con richieste di protezione. Questo è importante per poterci confrontarci a testa con gli altri caffè preparati nel resto del mondo.
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