
La storia delle statue del Palazzo Reale
di Simona Vitagliano
“Chi ha fatto pipì per terra?”
“Io non ne so niente”
“Sono stato io, e allora?”
Sguainando la spada: “Eviriamolo!”
No, non è la sceneggiatura di un film comico, ma la storiella che è stata affibbiata alle statue che compaiono nelle nicchie del Palazzo Reale di Napoli. Un modo anche per ricordare, in maniera simpatica, i nomi che rappresentano, rispettivamente Carlo V d’Asburgo, Carlo III, Gioacchino Murat e Vittorio Emanuele II; all’appello, in questo discorso, mancano le altre 4 personalità che compaiono dalla sinistra, cioè quelle di Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò e Alfonso V d’Aragona: ognuna, insomma, è chiamata ad identificare un sovrano e, degli 8 che compaiono, 7 sono stati proprio sul trono della città partenopea.
Antichità e modernità
Non tutti sanno che queste sculture non sono sempre state protagoniste del palazzo e di Piazza Plebiscito. Sono comparse, anzi, soltanto dopo l’apertura delle nicchie – create per ragioni di sicurezza all’edificio – nel 1888 e volute da Umberto I di Savoia, sicuramente con l’intenzione di abbellire quelle conche vuote ma anche di coprire un po’ l’importanza della dinastia Borbone: infatti, sulla statua di Carlo di Borbone, si legge la didascalia “Carlo III”, a rimarcare la discendenza spagnola.
Le statue compaiono in ordine cronologico, concludendo con l’unico sovrano che non è mai stato re di Napoli, ma d’Italia: Vittorio Emanuele II, appunto, il cui tributo marmoreo appare anche più grande in altezza; una scelta che è stata ampiamente discussa e criticata per secoli.
Tra l’altro, anche gli artisti a cui è stata affidata la realizzazione delle opere sono diversi; la storiella, invece, è nata proprio dalla fantasia dei napoletani, semplicemente osservando da lontano la posizione e le movenze dei soggetti raffigurati.
Proprio recentemente questa parte di facciata del palazzo è stata interessata da un restauro importante, durato oltre tre anni e conclusosi solo nel 2017, che ha tenuto nascosto questo pezzo di storia ai partenopei e ai turisti che si avvicendano tra le strade e le botteghe del centro storico in cerca di affari o di curiosità da imparare sulla nostra città ; per diverso tempo, insomma, anche noi dei Gambrinus ed i ragazzini, gli scugnizzi, che si ritrovano ogni giorno a giocare a pallone in quegli spiazzi immensi, abbiamo sentito la mancanza di quello sfondo marmoreo che, da oltre un secolo, accompagna generazioni di calciatori in miniatura attraverso le fasi della vita.
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