
Origine e storia del torrone dei morti
di Simona Vitagliano
Quella che si celebra in Italia nel cosiddetto “Giorno dei Morti” è, per certi versi, una ricorrenza molto simile ad Halloween, tant’è che cade anche in un giorno molto vicino al 31 Ottobre: siamo, infatti, in quella che, per gli italiani, è una vera e propria festività (anche se mai ufficialmente istituita come festività civile) da celebrare il 2 Novembre, esattamente un giorno dopo la ricorrenza (questa volta rossa sul calendario) di Ognissanti.
Ma quali sono queste similitudini così evidenti?
Innanzitutto l’input da dove ha preso origine questa commemorazione: come scritto sull’Encyclopà¦dia Britannica, “i contadini di molti paesi cattolici credono che quella notte i morti tornino nelle loro case precedenti e si cibino degli alimenti dei vivi“; si celebrano, insomma, le anime dei defunti come se, per una notte, fossero in grado di tornare in vita e addirittura cibarsi di quello che viene loro lasciato a disposizione.
Questa credenza ha fatto in modo, quindi, che le donne del popolo si ingegnassero in nuove ricette, realizzate con gli ingredienti del momento, per accontentare i vivi… e non solo. Ed ecco come sono nati quelli definiti come “i dolci dei morti“, che sono differenti, qui in Italia, di regione in regione.
In Sicilia, ad esempio, la tradizione vuole che la notte di Ognissanti i morti (della famiglia) lascino regali e dolciumi per i bambini, come la Frutta di Martorana (in Calabria i “morticeddi“) e le cosiddette “ossa dei morti“.
Nella zona del monte Argentario, in provincia di Grosseto, in Toscana, invece, tra le varie usanze c’era anche quella di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini, le cui anime si pensava tornassero tra i vivi, appunto, nella notte del 2 Novembre.
Curiosa la tradizione abruzzese che richiama in tutto e per tutto quella anglosassone per la celebrazione di Halloween: vengono fatte, infatti, scavare e intagliare delle grandi zucche per poi riporvi, all’interno, una candelina. In questo modo queste creazioni diventano laterne; vi dice qualcosa il nome Jack-o’-lantern?
Insomma, volendo fare un tour virtuale tra le regioni nostrane (e non solo) si ritroverebbe questa linea comune, volta a festeggiare una sorta di ritorno dei defunti tra i vivi: un modo per ricordare con più calore i propri cari scomparsi.
In questo panorama, il torrone che noi napoletani mangiamo proprio in questi giorni di celebrazione si inserisce a pennello. Ma quali sono le sue origini?
Il torrone dei morti: un’origine antica ed incerta
Quello che a Napoli è definito “torrone dei morti” è un dolciume morbido, lungo dai 50 ai 70 cm, venduto a pezzi, e a peso, in tantissime botteghe e piccoli store all’aperto, disseminati lungo le strade della città . La forma è, praticamente sempre, un parallepipedo, una sorta, se vogliamo, di cassa da morto in miniatura, dato anche il richiamo al colore del legno ottenuto attraverso la base di cioccolato. Naturalmente, l’esterno può essere decorato a piacimento, tant’è che non è infrequente trovarne di ricoperti da cioccolato bianco oppure ripieni di crema e cioccolata al latte, che decorano al taglio ogni fetta.
Questo tipo di torrone si differenza da quello classico per gli ingredienti: qui non c’è miele, ma cacao, come abbiamo visto, che viene “intarsiato” e reso più goloso da nocciole, frutta secca o candita, chicchi di caffè, mandorle, riso soffiato e tantissimi altri ingredienti, preferibilmente autunnali, ma anche più esotici ed estivi, come il cocco.
A Napoli è impossibile non acquistarne anche solo un piccolo quantitativo, a simbolo della festività più particolare dell’intero calendario italiano; d’altro canto, tra storie di Dracula, vampiri e fantasmi (qualche tempo fa vi abbiamo proposto anche la leggenda della bambina fantasma che riguarda il Gran Caffè Gambrinus), o il mito di Raimondo Di Sangro e della sua Cappella Sansevero, la città partenopea è, sin dalle sue origini, una grande evocatrice di tradizioni storiche esoteriche.
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